Martedì, 04 Ottobre 2011 18:40

Olmi e suo "no" a tutte le Chiese

Scritto da  Gerardo

All'anteprima milanese de "Il villaggio di cartone", di Ermanno Olmi, al Piccolo Teatro, è seguito un confronto sulle tematiche dell'opera, nella quale non mancano domande politiche. Lo stesso Olmi, dopo aver ricordato che «a ottant'anni non ho più prudenza», ha proferito una frase accolta con entusiasmo: «Non credo più alle chiese religiose, laiche e culturali».
Nel seguito, l'articolo di Armando Torno (Corriere della Sera).


Olmi e quel «no» a tutte le Chiese
di Armando Torno
in “Corriere della Sera” del 3 settembre 2011

All'anteprima milanese del film di Ermanno Olmi Il villaggio di cartone, ieri sera al Piccolo Teatro, è seguito un confronto sulle tematiche dell'opera, «densa di emozioni e di magia» (ha notato Ferruccio de Bortoli), nella quale non mancano domande politiche. Cominciamo dall'ultimo intervento, dello stesso Olmi. Dopo aver ricordato che «a ottant'anni non ho più prudenza», ha proferito una frase accolta con entusiasmo: «Non credo più alle chiese religiose, laiche e culturali».

Perché «altro non sono se non il luogo in cui ci rassicuriamo, demandando a esse di occuparci di noi». E ancora: «Non avendo chiese sono solo, ma in questa solitudine ho capito il valore della libertà». Parole che accanto a quelle di Giovanni Bazoli, dette in apertura, indicano la natura dell'ultimo lavoro del regista: «Olmi non ha voluto realizzare un'opera poetica (L'albero degli zoccoli) o epica (II mestiere delle armi), ma propone agli spettatori degli interrogativi. Temi supremi, temerari». E poi, dopo un richiamo al Tolstoj di Resurrezione e alla tragedia greca: «La trama di Olmi è un pretesto che serve a sollevare domande che sono destinate a rimanere senza risposta». Che il film sia di «forte rilevanza politica e sociale» lo nota ancora Bazoli, ponendosi quesiti quali «l'accoglienza deve prevalere sulla legalità?». Si arriva in tal modo al nocciolo della questione. La pellicola di Olmi — noterà Sergio Escobar — «non è sull'immigrazione ma su di noi». O meglio, «sulla realtà che si è messa a bussare alle porte chiuse delle nostre certezze».

Nell'edificio sacro non più adibito al culto de Il villaggio di cartone nasce un'accoglienza che rovescia le prospettive affrontate da molti programmi politici. Don Gino Rigoldi ribadisce che il sacerdote dovrebbe «leggere il Vangelo prendendolo concretamente sul serio». Sullo schermo, d'altra parte, questo regista innamorato (o ossessionato?) da Cristo ricorda — ha sottolineato de Bortoli — che «la chiesa dismessa è meglio di quella funzionante». E il laico Giulio Giorello si lascia sfuggire: «Forse ho capito grazie al film di Olmi il senso della preghiera». Dopo una lieve ma significativa pausa, ha ripetuto quanto si è sentito in quell'edificio ripopolato dagli immigrati: «Si prega per non sentirsi soli». In fondo, «la religione è strumento di liberazione»; Bazoli aveva già notato che l'«accoglienza ridà un senso al tempio sacro». Insomma, lo libera dai cavilli del mondo e lo riconsegna al messaggio di Cristo. E ancora Bazoli, individuando gli assi cartesiani di Olmi: «Preghiera da un lato, carità dall'altro». Ma la politica, con fatti e riti? Si è avvertita nel film grazie anche alle sirene della polizia o si è vista irrompere nella chiesa con gli uomini che controllano i documenti. Chi sono?, verrebbe da chiedersi. Si potrebbe dire del loro comportamento: «È quella stupidità che priva dell'umanità» (Escobar), ma sarebbe quasi fuori luogo. Stupida è una società che ignora i problemi e chiede alla politica di anestetizzarli. Dallo schermo urla il libero Olmi: «Il bene è più della fede».

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